Si dondolava. Erano anni in cui si ballava, dondolando, al ritmo dei Beatles. Si camminava, dondolando il sedere fasciato da pantaloni improponibili o da sensuali minigonne. Erano i mitici anni Sessanta e quella era la Swinging London, la Londra dondolante, come l’aveva descritta il Time in un articolo del 15 aprile 1966.
Erano numerosi i simboli di quegli anni e non fu un caso che, proprio tra il 1965 e il 1967, andassero in onda la quarta e la quinta stagione di The Avengers (Agente speciale), probabilmente uno dei momenti più dondolanti del piccolo schermo britannico.
Il tutto era nato qualche anno prima e, più precisamente, il 7 gennaio 1961 (Buon compleanno: sono solo 60!) quando la ITV trasmise Hot Snow, l’episodio pilota di The Avengers, una serie ideata da Sydney Newman e realizzata, inizialmente, da Leonard White, anche se dovrà il suo successo al lavoro successivo di John Bryce e, soprattutto, di Albert Fennel (dalla quarta stagione) e alle sceneggiature di Brian Clemens.
Tra il 1961 e il 1968, furono prodotte sei stagioni, di cui quattro in bianco e nero e due a colori, per un totale di centosessantuno episodi.
Erano finiti gli anni Cinquanta e ci si tuffava nei Sessanta. La ABC voleva realizzare un prodotto che sapesse fondere insieme le atmosfere dei romanzi di Ian Fleming con quelle dei film di Alfred Hitchcock. Inoltre, voleva sfruttare il contratto già in essere con l’attore Ian Hendry, a cui affidare il ruolo di protagonista.
The Avengers nasceva con una trama di stampo tradizionale: uno scienziato britannico, il dottor David Keel, interpretato appunto da Hendry, era coinvolto in avventure di carattere tipicamente spionistico e poliziesco da John Steed, un agente di una non ben definita organizzazione segreta, interpretato da un giovane e quasi sconosciuto Patrick Macnee.
Dopo una prima stagione dagli esiti incerti, Ian Hendry ruppe il contratto. Fu la fortuna di Agente Speciale. Indecisi se continuare o terminare la serie, fu Leonard White ad avere l’intuizione geniale di affiancare all’agente Steed una figura femminile forte, che piacesse alle donne in anni in cui si andava affermando il femminismo come fenomeno di massa.
Nacque così il ruolo di Catherine Gale, una scienziata caparbia e intelligente con cui John Steed si sarebbe trovato a collaborare. Era necessario cercare un’attrice di esperienza e carisma e la scelta cadde su Honor Blackman. Fu la svolta: alle donne piaceva quella protagonista coraggiosa e brillante che risolveva i casi, mantenendo la sua femminilità, e agli uomini piaceva ammirarla mentre guidava la moto e indossava aderenti giubbotti di pelle.
Era rivoluzione: un uomo e una donna che collaboravano, risolvendo casi intrigati, ammiccando tra di loro, facendo presumere una possibile, ma mai provata, storia d’amore (o anche di semplice sesso) dopo la sigla di chiusura. Se non ci fosse stato Agente Speciale, forse non avremmo mai avuto X-Files, non pensate anche voi?
Eppure tutto questo rischiava di finire.
Al culmine della fama, Honor Blackman si era stufata del ruolo della dottoressa Catherine Gale e accettò altre parti. Così, i produttori della ABC si ritrovarono di nuovo a discutere su come poter rimediare. Anche in questo caso, la soluzione si rivelò un successo clamoroso.
Se la seconda e la terza stagione avevano puntato sulla femminilità, la parola d’ordine per il futuro doveva essere la sensualità o meglio, quello che i britannici chiamavo M-Appeal cioè il Men appeal, ciò che affascinava gli uomini! Quindi… Men appeal,… mappeal,… EMMA PEEL! Ecco, questo sarebbe stato il nome della nuova protagonista della serie.
Iniziarono a cercare l’attrice che la interpretasse. In un primo tempo, la scelta cadde su Elizabeth Shepherd ma si accorsero che la resa non era quella sperata. Lei era brava ma mancava di fascino e i giochi d’ammiccamento col partner John Steed non funzionavano.
Il mondo stava cambiando e il girato aveva un sapore antico per i produttori. Decisero, pertanto, di fare una prova con Diana Rigg, un’attrice già sotto contratto, che avrebbe dovuto girare alcune scene come non protagonista. Si rivelò la scelta perfetta. Con le sue smorfie e i suoi sorrisetti sensuali, la sua abilità nelle scene d’azione, la sua naturale eleganza, il feeling immediato con il partner Patrick Macnee, quella giovane attrice sembrava nata per recitare nelle storie scritte da Brian Clemens.
Storie che, nel frattempo, stavano a loro volta subendo un cambiamento. Infatti, la produzione aveva deciso di abbandonare alcuni toni polizieschi e di spionaggio per privilegiare ambientazioni più fantasiose e più vicine all’estetica camp, un concetto per cui la realtà doveva essere rappresentata con una costruzione talmente artificiale da renderla quasi fantascientifica.
Umanoidi assassini, finti viaggi nel tempo, ville costruite come mazzi di carte, assassini alati, snuff movie, lavaggi del cervello, scambi di personalità,…, Londra senza traffico!,… tutte rappresentazioni così estreme della realtà da sembrare fantascientifiche, pur rimanendo reali.
Il 13 gennaio 1967 (Buon compleanno! Sono 54!) fu trasmessa la prima puntata della stagione Peel di Agente Speciale (la quarta nella sequenza totale) e diventò subito fenomeno di massa, tanto che il successo delle stagioni Gale fu più che raddoppiato. L’agente con la bombetta e l’ombrello, simboli di un vecchio modo di concepire il Regno Unito, e la dottoressa dalle moderne tute aderenti e dai sensuali corpetti di pizzo, simboli di una nuova gioventù, diventavano, diremmo oggi, un fenomeno virale che portò al fiorire di un merchandising parallelo, che rappresentava quasi una novità per l’epoca.
Al termine della quarta stagione però, conscia dell’incredibile successo, Diana Rigg manifestò l’intenzione di andarsene. Era diventata una donna culto, esistevano bambole a sua immagine e somiglianza ma non era contenta. Come dichiarò qualche anno dopo, non si trovava bene con la produzione ed era ampiamente insoddisfatta economicamente: “Avevo solo due amici: Patrick Macnee e il suo autista ed entrambi guadagnavano più di me.”
La ABC stava valutando il modo migliore per esportare quel fenomeno di massa sul mercato americano e si apprestava di nuovo a rivoluzionare la serie, introducendo il colore, ma rischiava di perdere la sua protagonista. Fu grazie a Patrick Macnee che Diana Rigg decise di rimanere ancora per una stagione e fu possibile produrre la quinta, The Avengers in color, che divenne un successo mondiale.
Malgrado questo, alla fine Diana Rigg si convinse definitivamente a lasciare. La rottura era insanabile e anche lei era attesa da una straordinaria carriera che la portò a essere più volte premiate con Emmy Award e BAFTA ed essere insignita dell’onorificenza di Dama Commendatore del’Impero Britannico.
Lo spettacolo di Agente Speciale doveva continuare. Questa volta si pensò a una giovane ragazza a cui John Steed potesse fare da pigmalione. Nacque così l’idea di Miss Tara King e, per interpretarla, fu scelta la giovane Linda Thorson.
La deriva troppo fantasiosa delle sceneggiature e la recitazione di un’attrice più immatura, furono, forse, tra le cause del flop della sesta e ultima stagione. Probabilmente, anche il fatto che si era ormai nel 1968 e gli anni Sessanta stessero per finire ebbe il suo peso.
Agente Speciale era un fenomeno anni Sessanta e i tentativi successivi di riprenderlo non riuscirono mai a ricostruire quel suo spirito pop. Non ci riuscirono Gli infallibili tre in due stagioni tra il 1976 e il 1977, nonostante l’importanza che ricoprì questa serie che, al suo interno, conteneva alcuni aspetti precursori dei telefilm anni Ottanta.
Non ci riuscì la riduzione cinematografica degli anni Novanta (anche se, in questo caso, influì una scelta non appropriata del cast).

Conosciuto dai fan di James Bond per le sue guide alle locations dei film tra cui Dall’Italia con amore (Edizioni del Faro, 2012). Nel 2013 un suo racconto è stato pubblicato nel volume Girls della raccolta YouCrime (Rizzoli Lab/Il Corriere della Sera). Ha scritto articoli per alcune riviste tra cui Turisti per caso, Note e La Freccia. Con lo pseudonimo Darko Bay ha pubblicato i romanzi Regola di ingaggio (Segretissimo Mondadori, 2017) e Regola d’onore (ZeroUnoUndici, 2019) oltre a numerosi racconti action.