Franco Forte è nato a Milano ed è il direttore delle collane Segretissimo, Urania e Giallo Mondadori. È altresì autore di celebri fiction televisive (Distretto di polizia e RIS – Delitti imperfetti), ha diretto mensili, magazine e curato raccolte letterarie. Ha pubblicato libri e svolto attività di consulenza editoriale per case editrici di rilievo. Nella sua prestigiosa carriera letteraria ha vinto numerosi premi e ha fatto parte di importanti giurie. Per Mondadori ha pubblicato, tra gli altri, Carthago, Roma in fiamme, Cesare l’Immortale, La bambina e il nazista (pubblicato con Scilla Bonfiglioli) e la serie dei 7 re di Roma (avviata con il fortunato Romolo – Il primo re, scritto con Guido Anselmi).
Con lui oggi parleremo, in particolare ma non solamente, del suo ultimo romanzo, L’uranio di Mussolini (Mondadori), che ha scritto insieme a Vincenzo Vizzini.
L’intrigante titolo del libro mi porta a domandarti, innanzitutto, se per realizzare la storia avete preso spunto da qualche fatto storico realmente accaduto durante il ventennio fascista?
Lo spunto, come lo chiami, è in realtà una suggestione. Molto forte, molto potente, e in qualche modo terrificante, ovvero: possibile che il Duce, agli inizi degli anni ’30, non abbia avuto relazioni pressanti con quello che era considerato uno degli scienziati più famosi al mondo, Enrico Fermi, che lavorava in Italia e studiava gli effetti della scissione dell’atomo? Era chiaro a tutti che riuscire a imbrigliare quell’energia significava avere tra le mani la più formidabile arma mai realizzata, eppure… non ci sono testimonianze di un lavoro comune fra il Duce ed Enrico Fermi. E questo è molto strano, perché poi Fermi realizzò davvero la bomba atomica, per quanto grazie al gruppo di lavoro del progetto Manhattan guidato da Oppenheimer. Però Fermi sarebbe stato in grado di fornire a Mussolini la bomba, se… già, qual è il grande “se” che ha impedito che ciò accadesse? Fondamentalmente due cose: la mancanza di un materiale essenziale per gli studi di Fermi, l’uranio; e l’omicidio di un uomo incaricato dal Duce di costruire un avioporto in provincia di Ragusa, da cui far partire una spedizione segreta per andare a recuperare l’uranio dove ce n’era in abbondanza, ovvero in Africa. Il nostro romanzo parla di questo: della complesa indagine che ruota attorno all’omicidio dell’inviato del Duce a Ragusa, che – per nostra fortuna – ha fatto sì che Mussolini non entrasse in possesso della bomba atomica.
La Sicilia e, nello specifico, la zona di Ragusa costituiscono l’ambientazione principale di questo appassionante romanzo del quale ti chiederei di tratteggiarci la trama.
In realtà mi piace poco parlare delle trame dei miei romanzi. Come dicevo, quello che accade parte da una suggestione (cosa sarebbe successo se Mussolini – e il suo amichetto di allora, un certo Adolf Hitler – avesse avuto la bomba atomica?) e arriva a Ragusa per seguire le complesse indagini intorno a un omicidio misterioso, quello che coinvolge Vittorio Borgia, amico del commissario di polizia di Ragusa Vincenzo Ibla. Sennonché a Ibla viene comunicato che sarà affiancato da un funzionario del partito fascista proveniente da Milano, un certo Franco Durante, perché il Duce in persona vuole conoscere gli sviluppi delle indagini. E dunque la storia del romanzo si dipanerà intorno a questi elementi: una intricata indagine che coinvolge criminalità locale, la mafia, i servizi segreti internazionali, il Duce e la nobiltà ragusana; e l’incontro-scontro fra i due protagonisti, Ibla e Durante, che rappresenta anche l’incontro-scontro fra nord e sud, fra due mentalità molto diverse non solo in campo investigativo ma anche sociale e umano.
Nel libro agiscono numerosi personaggi maschili e femminili, tutti ben delineati e funzionali alla storia. Tra questi, come hai già detto, Franco Durante e Vincenzo Ibla costituiscono i protagonisti principali e attraverso i loro pensieri e discorsi si snoda gran parte della narrazione. Cosa puoi dirci di loro? C’è qualcosa di te e di Vizzini nelle caratteristiche dei due?
Ovviamente, come tutti gli scrittori abbiamo voluto giocare un po’ con i nostri personaggi. In realtà a parte i nomi e la provenienza geografica (Franco come me, milanese come me e Vincenzo come Vincenzo Vizzini, ragusano come lui), non c’è granché di noi in questi personaggi, che abbiamo cercato di costruire in modo funzionale alla trama, che aveva bisogno di mettere in campo il grande divario fra nord e sud che si viveva all’epoca. Dopodiché, come detto ci sono dei “giochi” nel sottoscala narrativo, come per esempio il fatto che Ibla si chiami così di cognome perché Ibla è il nome della vecchia Ragusa, città circondata dai monti Iblei; eppure, nonostante questo, ci risulta che non esistano persone che si chiamano così, da quelle parti. Un mistero nel mistero. Per quanto riguarda Durante, invece, nel mio personale immaginario narrativo è il nonno di un altro protagonista dei miei romanzi, quell’Ivan Durante che i lettori hanno incontrato, per esempio, in “La stretta del pitone”, thriller uscito nel 2005 con Mursia.
Ibla e Durante rappresentano anche due modi diversi di agire e d’investigare. Avete creato questo dualismo solo per rendere più viva e interessante la trama o volevate mettere in luce anche le profonde differenze che all’epoca sussistevano negli strumenti e nelle metodologie d’indagine tra nord e sud d’Italia?
Entrambe le cose. Ma sempre, come dovrebbe fare ogni scrittore, in funzione del divertimento del lettore. Faccio un esempio che vale su tutti: agli inizi degli anni ’30 a Milano la tecnica del rilevamento delle impronte digitali sui luoghi del crimine era molto diffusa, e aveva una valenza anche in tribunale, dove veniva utilizzata come prova determinante per la condanna dei sospettati. A Ragusa, nello stesso periodo, non esiste alcuna traccia che si utilizzasse questa tecnica, e nei tribunali i magistrati non la sfruttavano mai per chiudere un processo. Non dico che non sapessero che cosa fossero le impronte digitali, ma di sicuro la tecnica per rilevarle era del tutto sconosciuta, sia alle forze dell’ordine che alla stesa criminalità che commetteva reati. Ecco allora che quando nel nostro romanzo viene ritrovata una pistola del tutto priva di impronte digitali, questa differenza di pensiero emerge subito: Durante si chiede chi possa avere cancellato le impronte, ma Ibla ribadisce che da quelle parti nessuno sa che esistono, queste fantomatiche impronte digitali, e dunque perché avrebbero dovuto cancellarle? Semmai il problema è un altro: capire perché non ci sono impronte su quella pistola, che è ben diverso dal cercare di capire chi possa averle cancellate. E questo cambio di mentalità, di prospettiva investigativa, porterà a scoprire una delle tante verità che i nostri due protagonisti faranno emergere durante il romanzo.
Dialetto, piatti tipici e paesaggi ragusani di un tempo connotano e arricchiscono diversi momenti della storia. Come siete riusciti a rendere così bene questi tre aspetti? Vi siete avvalsi delle conoscenze e dei ricordi degli abitanti dei luoghi?
Anche per Milano ci sono parecchi rifrimenti importanti, però dato che gran parte della vicenda si svolge a Ragusa, è chiaro che era lì che dovevamo ricostruire nel miglior modo possibile l’ambiente in cui si sarebbero mossi i nostri personaggi. E per farlo è stato determinante l’apporto di Vincenzo Vizzini, che essendo ragusano ha potuto raccogliere testimonianze documentali ma anche personali, della gente del luogo, che ci hanno consentito di parlare di cibi in modo corretto, citando le pietanze che si mangiavano davvero a quell’epoca, o facendoli muovere in una città molto diversa dalla Ragusa attuale, con altri nomi delle vie, parti in costruzione, quartieri ancora da erigere. La nostra esigenza era, insomma, quella di costruire un mondo il più realistico possibile in attesa che il lettore ci si immergesse e potesse guardarlo – e viverlo – con la sensazione di muoversi in un ambiente vero, non finto. E dunque nessun particolare è stato inserito senza un preciso scopo.
Parlando di personaggi femminili, mi hanno particolarmente colpito Rosetta, la sorella di Ibla, e Teresa Gandolfo, due donne diverse tra loro eppure a mio avviso simili per decisione, intelligenza ed emancipazione rispetto al periodo e al contesto in cui il libro è ambientato. Ti ritrovi in questa mia impressione?
Certo, le abbiamo volute così perché studiando quel periodo storico e quella collocazione geografica ci siamo resi conto che le donne siciliane erano tutto tranne che lo stereotipo che avevamo in mente (avete presente le donnine vestite di nero sedute fuori dalla porta di casa? Be’, non c’erano sono quelle, ve l’assicuro). Per farlo avevamo bisogno di far vedere due donne (ma in realtà ce ne sono altre, fra cui la maitresse della casa chiusa locale, che rappresenta un altro spaccato del mondo femminile degli anni ’30) della classe più agiata, come Teresa Gandolfo, e di quella più umile ma dignitosa della bassa borghesia ragusana, come Rosetta. E la loro capacità di sorprendere, tipica di tutte le donne in qualsiasi epoca.
Durante e Ibla diventeranno personaggi seriali o con questo libro hanno esaurito il loro ruolo di protagonisti?
Questo lo decideremo più avanti, quando avremo i rsultati del gradimento da parte dei lettori, perché alla fine è questo che stabilisce se uno o più personaggi possono continuare a vivere. Da parte nostra abbiamo già delle idee interessanti per eventuali sviluppi, come per esempio… portare Vincenzo Ibla a Milano. Ma come detto, vedremo quale sarà il responso del pubblico.
L’Uranio di Mussolini s’inquadra in un filone di fortunati libri e serie ambientate durante il ventennio. A tuo avviso, perché proprio questo periodo richiama l’interesse letterario di tanti autori di rilievo?
In realtà non lo so, se non per il fatto che la Storia tende ad ammantarsi di lustrini, dopo che il tempo l’ha lucidata a lungo. E dunque tendiamo a dimenticare le brutture di certi periodi storici e ci restano in mente solo le immagini eclatanti, in qualche modo avvolte di fascino. Credo sia un po’ per questo, e il Duce era senz’altro un personaggio che, ripulito dalla sozzura di cui si era macchiato, esercitava un grande fascino. Però, come dice Massimo Carlotto nella frase che abbiamo pubblicato in quarta di copertina del romanzo, se è vero che è facile inserire Mussolini in un libro, oggi, lo è molto meno farlo avendo qualcosa di interessante e originale da dire. E noi pensiamo di averlo fatto.
Passando dal giallo alla fantascienza, la collana Urania il prossimo anno festeggerà i suoi primi settant’anni di vita. A cosa sono dovuti il suo successo e la sua longevità?
Al fatto che in definitiva la fantascienza ci ha sempre raccontato il futuro e oggi ci rendiamo conto che alla fine parlava di quello che per noi è il presente. Anticipando, suggerendo, allertando. Nessuno scenario è rimasto inespresso, dalla pandemia ai cambiamenti climatici, dalla corsa allo spazio alle tecnologie della realtà virtuale. E dunque ecco che ci accorgiamo che in quei fascicoletti bianchi, marchiati Urania, c’erano tutte le avvisaglie per capire meglio il nostro presente. E nei libri di fantascienza che escono oggi, potrebbero esserci le chiavi pe capire meglio come affrontare il nostro prossimo futuro.
Puoi anticiparci qualcosa riguardo alle prossime uscite in libreria di romanzi editi da Urania?
Stiamo cercando di mettere in campo tutta una serie di inziative che riguarderanno la fantascienza e i suoi autori più di rilievo, ma purtroppo in questo momento non sono in grando di fare anticipazioni, perché i lavori sono in corso e nonostante il fermento che stiamo vivendo ci sono ancora poche certezze. Ma a chi piace la science fiction non ci vorrà molto per capire quanto la fantascienza, oggi, sia sulla cresta dell’onda. Soprattutto se marchiata Urania.
Cosa pensi del rapporto tra il mondo della letteratura e i social? Li ritieni importanti per la promozione delle collane che dirigi?
Ormai i social sono imprescindibili, a tutti i livelli: per le case editrici, per gli autori, per chi li frequenta, e quindi anche per i lettori. Più che attraverso i media tradizionali, oggi la gente cerca informazioni su cosa leggere e acquistare dalle loro frequentazioni social, da altri lettori come loro, che parlano di libri per passione, non per mestiere. E dunque restare fuori da questo mondo è un vero suicidio, per chiunque voglia far parlare di sé e cerchi l’interesse del pubblico.
Per concludere, tra le tante cose che fai legate al mondo dei libri e del giornalismo, qual è quella che ti appassiona di più?
Sicuramente scrivere narrativa, perché la libertà che arriva dal poter scrivere ciò che si vuole, diversamente dal giornalismo o dalle sceneggiature per cinema e TV, è un valore per me irrinunciabile.
Grossetano, ex Dirigente Centrale di un primario gruppo bancario, scrive libri e racconti, cura rassegne dedicate al genere giallo nella sua più ampia accezione, organizza eventi e premi letterari. Per Alter Ego Edizioni ha pubblicato i thriller d’azione incentrati sulla figura dell’ex capitano del SAS inglese Sir Alexander (Alex) Martini-Miller: La ottava croce celtica – Nulla è come sembra; La morte viene dal passato – Nubi scarlatte; La Nuova Inquisizione – Redde Rationem. Con la figlia Vanessa ha pubblicato per ALA Libri il giallo illustrato per ragazzi Il mistero del caveau.