Alcuni anni fa, quando ci si poteva assembrare senza problemi, Antonio giunse a Milano per una presentazione da Bloodbuster (storico negozio in città) a cui fece seguito una cena. Eravamo in tanti e il ristorante preparò due tavolate. Io arrivai in ritardo e mi posizionai al tavolo più lontano. A un certo punto Antonio mi vide e non ci eravamo ancora salutati. Si alzò, indossò i guanti di pelle (chi non ne porta un paio in tasca?), si mosse silenziosamente alle mie spalle… e mi strangolò davanti a tutti. È il suo modo di salutare… Sono vivo e posso ancora raccontarlo.
Antonio, partiamo appunto da questi guanti di pelle: essenziali per nascondere un assassino e protagonisti del tuo romanzo Il bambino che giocava con le bambole (Cut-Up, 2020). Quanto sono importanti per un autore di thriller?
I guanti di pelle nera (ma possono essere anche di lattice) fanno parte dell’inquietante vestiario dell’assassino, spesso in nero. Hanno colpito fortemente la mia immaginazione grazie ai film di Dario Argento, soprattutto L’uccello dalle piume di cristallo e Profondo rosso. Quando ho scritto il mio primo romanzo da solista (ho pubblicati in precedenza La voce del buio e Il prossimo novilunio, scritti con l’amico Enrico Luceri) i guanti neri sono entrati nella presentazione dell’assassino. Sono i suoi feticci, così come il manto nero che lo nasconde e il rasoio con cui uccide.
Come ho chiesto anche a Enrico Luceri, quanto i film di genere degli anni Sessanta e Settanta hanno contribuito alla tua formazione?
I film di genere degli anni Sessanta e Settanta (aggiungerei anche gli Ottanta) sono stati per me fondamentali. Trovo in questi film (thriller, horror, polizieschi, erotici, western) una energia dirompente e una notevole libertà creativa, oltre a qualcosa che forse a volte va al di là delle intenzioni stesse degli autori. L’esasperazione della violenza e della tensione, insieme a componenti estreme e bizzarre, appartengono a un’epoca irripetibile del nostro cinema. Inevitabilmente alcune di queste pellicole in particolare sono rimaste nel mio immaginario.
Poi è arrivata la collaborazione con i grandi. Parlaci del tuo lavoro con Dario Argento (Dracula 3D, 2012).
Frequento Dario Argento dagli anni Ottanta. Ho scritto in diverse occasioni sul suo cinema e l’ho intervistato per riviste specializzate, sono stato con lui a festival, rassegne e incontri. Non pensavo di poter collaborare con Dario, anche se in un paio di volte ho sfiorato questa possibilità. Poi è nato il progetto di Dracula. Gianni Paolucci, uno dei produttori, lo conoscevo bene perché ho scritto diversi film di Bruno Mattei, da lui prodotti. Mi ha chiamato perché volevano fare Dracula 3D, con la regia di Dario. Sono stato quindi il tramite tra loro e poi uno degli sceneggiatori del film con Argento e Stefano Piani. Sono particolarmente legato a Dracula, perché mi ha permesso di lavorare con uno degli autori che ho sempre adorato. Abbiamo pensato a una sceneggiatura che fosse fedele allo spirito del romanzo di Bram Stoker, su cui però ci sono state varie modifiche. Manca per esempio tutta la parte londinese e la storia si svolge interamente a Passo Borgo e al castello di Dracula. Abbiamo inserito una parte del racconto di Stoker L’ospite di Dracula, che in un primo momento doveva farparte del romanzo e poi è stato tolto dallo scrittore stesso. Il Dracula di Dario Argento è sanguinario e crudele, ma anche estremamente romantico. Ha la capacità di trasformarsi in numerosi animali, oltre al lupo e alla civetta. Inoltre,abbiano voluto evidenziare la complicità di alcuni umani al servizio di Dracula e l’omertà dei maggiorenti del paese. È un film importante, che mi ha gratificato con l’invito a Cannes per la sua proiezione fuori concorso e con l’incontro che ho avuto sul set con un attore straordinario come Rutger Hauer.
E prima del Maestro c’era stato un altro grande come Lucio Fulci. Hai raccontato la storia di queste collaborazioni favolose ne Il gatto nel cervello di Lucio Fulci (Bloodbuster, 2020) e nel recente La notte degli assassini (Shatter, 2021). Raccontaci qualche aneddoto di questo cinema meraviglioso a cui hai contribuito.
Lucio Fulci è stato il mio maestro. Ho iniziato a scrivere per il cinema grazie alui, che per primo ha creduto nelle mie potenzialità. Insieme a Dario Argento è uno dei miei punti di riferimento e amo il cinema di entrambi, pur essendo due autori molto diversi tra loro. Con Fulci ho scritto il soggetto di Demonia e ho collaborato alla sceneggiatura di Un gatto nel cervello, oltre ad altre storie che non sono state realizzate. Un gatto nel cervello è stato omaggiato dal libro che hai citato, scritto con l’amico Fabio Melelli, ma anche dal film Nightmare Symphony di Domiziano Cristopharo, che ho scritto. Il cinema crudele e visionario di Fulci è adesso oggetto di culto ovunque e sono fiero di aver lavorato con lui. Tra l’altro è stato proprio Fulci a farmi conoscere Aristide Massaccesi/Joe D’Amato, un grande del cinema di genere italiano, per cui ho scritto Frankenstein 2000. Aneddoti da raccontare ce ne sarebbero tanti, perché in quegli anni mi sembrava di vivere in una bellissima avventura. Ho conosciuto anche attori come Brett Halsey, simpatico e ottimo professionista, e l’iconico John Phillip Law, protagonista del film di Sergio Stivaletti I tre volti del terrore. E poi altri registi con cui ho collaborato, anche per progetti che non si sono realizzati. Riccardo Freda, Antonio Margheriti, Lamberto Bava, Enzo G. Castellari, Tonino Valerii, Ruggero Deodato, Rino Di Silvestro, Antonio Bido, Luigi Cozzi, David Grieco, Edoardo Margheriti, Michele Soavi. Ognuno di loro mi ha dato qualcosa, alcuni la loro amicizia che reputo preziosa, e tutti mi hanno aiutato e incoraggiato nel mio percorso.
Torniamo al bambino che giocava con le bambole. Come sai sono un appassionato di location e Venezia è una protagonista assoluta del tuo romanzo. Certe scene non potrebbero funzionare o dovrebbero essere pensate diversamente se le avessi ambientate in altri posti. Com’è il tuo rapporto con questa città, teatro perfetto per i racconti di genere, dal thriller allo spionaggio, dall’erotico all’avventura?
Venezia è una città che amo da sempre. Vado periodicamente a visitarla, lasciandomi ogni volta conquistare dal suo fascino. Per Il bambino che giocava con le bambole ho subito pensato a Venezia: le suggestioni e le emozioni che emana si sposavano alla perfezione con la storia che intendevo scrivere. Non solo rappresenta il territorio che l’assassino conosce e in cui si muove a proprio agio, ma con la sua atmosfera magica e straniante è il luogo ideale per il mio romanzo e sua parte integrante.
I turbamenti dell’infanzia che tornano da adulti, la complessità di un rapporto con la sorella, la madre e la fidanzata e il femminicidio, l’ipnosi: il tuo romanzo entra nel cervello come la lama del coltello dell’assassino. Ti interessa la psicologia e di quanto questa scienza entrò nel genere thriller degli anni Settanta?
Gli elementi legati alla psicologia, quindi anche l’analisi a cui si sottopone il protagonista e l’ipnosi, sono funzionali alla narrazione, non ci sono altre pretese. Ma indubbiamente i legami tra i componenti della famiglia di Giulio giocano un ruolo importante nell’intreccio. La dimensione del romanzo è psicologica e concentrata soprattutto sulla figura del protagonista e sul suo dramma dell’amnesia, anche se ho tentato di dare un certo spessore agli altri personaggi, compresi quelli minori. La psicologia è una delle caratteristiche del thriller italiano anni Settanta, sia nei suoi esempi alti che nelle pratiche così dette basse del genere. È uno dei cardini su cui si basa la struttura delle storie e una chiave per comprenderne gli enigmi.
Ci regali qualche anticipazione sui tuoi prossimi lavori?
Posso dire che sto lavorando a diversi progetti, con Sergio Stivaletti e Claudio Lattanzi. Per la narrativa ho in mente un altro romanzo giallo-thriller.
In attesa dei prossimi lavori di Antonio Tentori vi consigliamo la lettura delle sue opere e soprattutto del suo ultimo romanzo: un vero tuffo nell’essenza più pura del thriller e del giallo italiano. E, se ci chiamiamo Giallorama, non potevamo proprio farcelo mancare.
Conosciuto dai fan di James Bond per le sue guide alle locations dei film tra cui Dall’Italia con amore (Edizioni del Faro, 2012). Nel 2013 un suo racconto è stato pubblicato nel volume Girls della raccolta YouCrime (Rizzoli Lab/Il Corriere della Sera). Ha scritto articoli per alcune riviste tra cui Turisti per caso, Note e La Freccia. Con lo pseudonimo Darko Bay ha pubblicato i romanzi Regola di ingaggio (Segretissimo Mondadori, 2017) e Regola d’onore (ZeroUnoUndici, 2019) oltre a numerosi racconti action.