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Voland presenta I cinocefali di Ivanov. Di Sora: un romanzo straordinario

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Daniela Di Sora è nata e risiede a Roma. Nel 1994 ha fondato la casa editrice Voland che, nel 2002, ha ricevuto il premio del Ministero dei Beni e le Attività Culturali “per aver svolto attraverso la pubblicazione di traduzioni di elevato profilo un importante ruolo di mediazione culturale”.

Con lei parliamo oggi del libro di Aleksej Ivanov I cinocefali uscito alla fine del 2020, soffermandoci anche su taluni aspetti riguardanti la Voland, uno dei più prestigiosi marchi letterari italiani sotto il profilo della qualità dei titoli pubblicati.

Aleksej Ivanov è uno scrittore molto famoso in Russia e in altre nazioni, ma non particolarmente noto in Italia. Prima di entrare nelle tematiche del suo libro, raccontaci qualcosa di lui.

Nato nel 1969, Aleksej Ivanov appartiene alla generazione che ha vissuto l’infanzia e la giovinezza quando c’era ancora l’Unione Sovietica, e aveva poco più di 20 anni quando l’URSS è scomparsa, questa bipolarità lo rende straordinariamente interessante come scrittore, è come se potesse parlare con cognizione di entrambi i mondi. È anche uno scrittore estremamente prolifico, oltre che popolarissimo in Russia, a oggi ha pubblicato più di 20 libri che raggiungono e conquistano centinaia di migliaia di lettori. Con i suoi romanzi ha vinto alcuni dei premi letterari più prestigiosi della Russia, fra cui “Libro dell’anno” già nel 2004, il premio Jasnaja Poljana –Tolstoj, il Bolshaja kniga, e numerosi altri premi meno noti in occidente. Inoltre è critico letterario e sceneggiatore: da due dei suoi libri sono stati tratti dei film: Il professore si è bevuto il mappamondo e Lo zar. Quest’ultimo film è stato proiettato al festival di Cannes, nella sezione Un certain regard. Insomma, un personaggio, al punto che il suo ultimo libro, uscito ad agosto dell’anno scorso, si intitola  Essere Ivanov, e raccoglie i più interessanti interventi dei lettori fatti sul suo sito, con le sue risposte. 

Cosa ti ha spinta a decidere di pubblicare una sua opera uscita alcuni anni fa nella sua madrepatria?

Semmai c’è da chiedersi come mai non l’ho pubblicato prima, e come mai non se ne siano accorti gli altri editori. Scherzi a parte, avevo sentito parlare dei suoi libri due/tre anni fa ma non avevo mai letto niente. Poi a fine 2019 sono andata a Mosca e in libreria ho comprato un paio di suoi libri, quasi contemporaneamente ho ricevuto una proposta da parte di Anna Zafesova, bravissima giornalista e traduttrice russa che vive in Italia, a Torino, da molti anni. Una scheda con la proposta di traduzione di due libri di Ivanov, I cinocefali appunto e Il professore si è bevuto il mappamondo.

Insomma, evidentemente era arrivato il suo momento, e in effetti Voland ha acquistato i diritti di entrambi i titoli. Leggere questo autore e non innamorarsi della sua capacità di raccontare la Russia contemporanea è praticamente impossibile, o almeno così è stato per me.  

I cinocefali è un libro denso di suspense che, a mio avviso, non può essere inquadrato in un genere specifico, contenendo elementi del thriller psicologico, del noir, del mistery, del romanzo sociale e di quello storico/religioso. Ti senti di condividere il mio pensiero o dal tuo punto di vista l’opera è inseribile in un unico filone letterario?

Hai perfettamente ragione, ed è proprio questo il fascino del libro. Oltre a offrire al lettore mistero e suspence fino all’ultima pagina, ci dà un’inquietante lettura della Russia di oggi, della provincia, dei nuovi ricchi e della miseria morale della campagna abbandonata a sé stessa. 

Cosa ci puoi dire della trama di questo appassionante romanzo?

Intendo dire molto poco… Tre giovani moscoviti vengono ingaggiati da un misterioso personaggio per un lavoro che sembra facile ed è ben retribuito: recarsi in un villaggio e rimuovere per portarlo a Mosca un affresco di San Cristoforo con la testa di cane che si trova in una chiesa abbandonata e ormai in rovina. Vengono dotati degli strumenti per eseguire il lavoro, di un’automobile, di computer e cellulari, di tutto il necessario. Ma la vita in un villaggio sperduto fra foreste e torbiere non è così idilliaca come si potrebbe immaginare, gli abitanti sono diffidenti, abbrutiti dall’alcol e dalla miseria materiale e spirituale. Gli arroganti moscoviti vengono accolti con ostilità, nel paese tutti alludono a segreti sepolti nel passato e quel lavoro finisce per trasformarsi in una trappola mortale, L’affresco di San Cristoforo poi sembra muovere gli occhi e nella scuola dove i tre moscoviti alloggiano la notte si sentono unghie di cane grattare il pavimento. Cosa nasconde la storia di quei luoghi? Quali orrori?  

Molti sono i personaggi ben caratterizzati che popolano le pagine, ma indubbiamente il giovane Kirill costituisce una delle figure centrali. Ce ne parli? Le vicende che vedono protagonista Kirill s’incrociano ben presto con la vita tormentata di Liza. Chi è e cosa rappresenta nel contesto dell’opera questa ragazza molto particolare?

Kirill non si limita a farsi delle domande, cerca anche le risposte, nella storia, nell’arte. Ha paura delle cose che  non capisce ma la paura non lo ferma, e scava nel passato per cercare di capirle. È il giovane moscovita di oggi, che parla il linguaggio dei giovani moscoviti di oggi, conosce l’inglese, conosce la tecnologia, ma non conosce il passato del proprio paese, e lo cerca con i mezzi che il presente gli mette a disposizione. Liza ha una storia diversa, è nata in un villaggio sperduto e lo subisce, in tutti i sensi. Voleva andar via, uscire dai confini della ‘zona’ ma è stata fermata dalla crudeltà dei guardiani. Bellissima figura di donna, che non ha perso la capacità di amare e di donarsi, senza pretendere nulla in cambio. Ed è lei, in definitiva, la forza propulsiva del romanzo, con la sua bellezza e la sua determinazione. 

Tu credi nel mito del Cinocefalo, a prescindere dal suo effettivo collegamento con la figura religiosa di San Cristoforo?

Io sono una persona razionale, o almeno cerco di esserlo… ho però una incomprensibile paura dei lupi mannari, cugini lontani dei cinocefali.

In base alla tua profonda conoscenza della realtà Russa, ti ritrovi nella descrizione che l’autore fa dell’ambiente sociale, delle persone del villaggio di Kalitino e del peculiare contesto postsovietico?

La Russia è un paese immenso e nessuno può davvero dire di conoscerla, credo che si possa cercare di farlo solo attraverso la letteratura. Quando ho insegnato a Mosca, una vita fa, il permesso che avevo  mi impediva di allontanarmi a più di 50 chilometri dalla capitale, per muovermi dovevo richiedere un altro permesso, e dichiarare le ragioni per cui volevo andare in quel determinato posto. Ho visitato in Russia molte città ma pochi villaggi, e solo quelli “adatti” agli stranieri. È un po’ come aver vissuto molti anni a New York e pretendere di conoscere l’America profonda… Fatte queste premesse posso dire che i caratteri corrispondono perfettamente a quanto conosco della Russia, sia per quanto riguarda i ragazzi moscoviti che gli abitanti del villaggio, soprattutto nel rapporto tra Mosca e il resto dell’immenso paese. Come osserva la traduttrice nella postfazione  “Kirill è un ragazzo colto… Inizia a esplorare la Russia rurale con il distacco di chi visita delle rovine archeologiche, sentendosene profondamente alieno: più che membro di un’altra società, rappresentante di una diversa civiltà…”

Voland ha in programma di pubblicare altri libri di Ivanov?

Certamente! Il prossimo sarà Il professore si è bevuto il mappamondo, già alla fine del 2021, e a seguire La mensa che parte da una premessa avvincente: un campo di pionieri ( i boy scout di epoca sovietica) nell’estate delle Olimpiadi a Mosca del 1980, viene invaso dai vampiri.

Ci consiglieresti un altro titolo ad alta tensione del catalogo Voland, stimolandoci a leggerlo con poche battute?

Nero ananas di Valerio Aiolli: un’indagine letteraria sulla bomba di piazza Fontana a Milano nel dicembre del 1969.  

Vedi differenze sostanziali tra il modo di raccontare storie “nere” che caratterizza gli scrittori russi e quelli italiani?

Nei russi c’è un maggiore scavo psicologico e un modo diverso di guardare alla propria storia. Forse occhieggia nelle loro pagine anche una maggiore ironia.

Nel fondare Voland hai indirizzato la linea editoriale verso la letteratura Russa e dell’est europeo, salvo poi focalizzare l’attenzione anche su libri di autrici e autori italiani e di altre nazioni. Da cosa è dipesa la tua scelta iniziale e la sua successiva evoluzione?

La scelta iniziale è dipesa dal fatto che di letteratura russa mi occupo da sempre, da quando a 17 anni ho letto per la prima volta Delitto e castigo di Dostoevskij e ho deciso di studiare il russo, cosa che ho poi fatto all’università. E anche dalla considerazione che la letteratura russa (e degli altri paesi slavi) è ingiustamente sottovalutata dall’editoria italiana, tutta a prevalente indirizzo anglofono. La successiva evoluzione è stata determinata all’inizio da considerazioni puramente economiche: i russi vendono poco, e gli autori di altri paesi slavi ancora meno. Dunque ho esteso il campo, cercando di mantenere intatta la qualità.