L’universo dei sogni, della magia e della fantasia di Bram Stoker (1847 – 1912) si sviluppò durante la sua infanzia quando, malato, sua madre gli raccontava le leggende irlandesi e la lettura era la sua unica distrazione, non potendo avere contatti con il mondo esterno.
Nel 1888 (dopo aver scritto diversi romanzi e racconti) le vicende di Jack lo squartatore, influenzarono lo scrittore che immaginò Dracula, un’entità al pari del famoso serial killer mai identificato: una figura inafferrabile ed evanescente che uccideva le vittime senza alcun preavviso.
Nel XIX secolo il Regno Unito era la massima potenza mondiale, ma qualcosa minava la sua inossidabilità: la paura del declino. Se è vero che niente dura per sempre, l’Impero britannico iniziava a perdere le sue colonie, si stava pian piano sgretolando e Bram Stoker, della paura, di quella paura, permeò le sue pagine.
La Romania è il paese originario di Dracula. Una nazione all’epoca lontana dalle mete turistiche, poco conosciuta, dal crudele retaggio di guerre sanguinarie avvenute ai confini tra Occidente e Oriente; una terra distante dalle attrazioni archeologiche, di cui la Gran Bretagna era ghiotta; un luogo ammantato dalla superstizione.
Quando Dracula arrivò a Londra, incarnava l’altro, il Diverso, un individuo losco, fuori dal comune che mal si adegua alle abitudini anglosassoni, al punto da suscitare attorno a sé molti sospetti. Esattamente come gli autoctoni colonizzati insospettivano gli inglesi colonizzatori.
Alla sua prima pubblicazione, avvenuta il 26 maggio 1897, il romanzo Dracula ebbe un modesto successo. Solo dopo la morte dello scrittore che il personaggio guadagnò la meritata popolarità.
Dracula personificava il Nemico a tal punto che durante la Prima Guerra Mondiale, negli zaini dei soldati inglese venne inserita una copia del romanzo di Bram Stoker, perché fossero incitati a combattere con più accanimento, senza pietà. Un uso propagandistico di cui lo stesso Bram Stoker non seppe nulla, dato che morì nel 1912.
Ma fu il Cinema che trasformò Dracula in un mito di massa.
Nel 1922, in Germania, il bisogno di esorcizzare l’orrore della Prima Guerra Mondiale e riemergere dall’abisso nel quale la società era caduta fece sì che per la prima volta Dracula prendesse forma sul grande schermo, ma con qualche variante. Il regista tedesco Murnau, per evitare di pagare i diritti del romanzo, spostò l’azione in patria cambiando il nome dei personaggi. Dracula divenne Nosferatu.
Fu una decisione illecita, tanto che l’erede di Bram Stoker, Florence Stoker, intentò una causa contro il regista e vinse, condannando Muranu e la società di produzione a distruggere tutte le copie del film; per nostra fortuna se ne salvò una.
Lo stesso protagonista del film di Murnau non rispecchiò i canoni del suo padre letterario, ricoprendo il ruolo di una creatura spaventosa, tra l’essere umano e il mostro. Bianco come la morte, orecchie appuntite, privo di capelli, unghie lunghe e acuminate, incisivi frontali aguzzi, forse ancor più agghiaccianti dei canini dipinti dall’autore, Nosferatu terrorizzò le platee.
Nel film di Murnau tutto fu spinto al parossismo restituendo un’atmosfera apocalittica: dal bianco e nero della pellicola, alla moltitudine di topi che accompagna il vampiro per tutto il film simbolo di pericolo, contaminazione, morte.
Nosferatu è l’incarnazione della peste, l’alieno, un non-umano nel quale è impossibile identificarsi, ma la contempo una figura fragile: non potendo reprimere il desiderio del sangue, il vampiro trascura il suo punto debole, la luce del sole, che lo sorprende proprio mentre sta per stringere la vittima nel suo abbraccio mortale e muore incenerito.
La scena della morte di Nosferatu è il simbolo dell’autodistruzione, ispira un misto di orrore e compassione per una creatura maledetta priva di redenzione.
A distanza di quasi sessant’anni Nosferatu tornò sul grande schermo interpretato da Klaus Kinski, per la regia di Werner Herzog. Un capolavoro che catturò l’attenzione di folle oceaniche nei cinema di mezzo mondo.
Alla fine degli Anni Venti, l’Europa era squassata del ritorno delle dittature, l’economia mondiale vacillava, a causa della grande depressione, e Dracula risorse dalla sua bara interpretato da un attore ungherese, già applaudito per lo stesso ruolo nei teatri di Broadway: Bela Lugosi.
L’ampio mantello di raso nero si era rivelato una trovata scenografica per nascondere i meccanismi che permettevano all’attore di sollevarsi dal palcoscenico e volare.
Nel film, realizzato nel 1931 da Tod Browning, che lo adattò dall’omonimo spettacolo teatrale, Bela Lugosi abbandonò l’immagine del mostro proponendo un vampiro mondano che, sprovvisto di canini appuntiti, esercitava il suo fascino ammaliatore.
Fu una sorta di Don Giovanni dall’aspetto sinistro, agli antipodi dalla concezione del vampiro di Bram Stoker, incarnazione pura e semplice del male, avulsa dall’influsso della seduzione. Il Dracula di Bela Lugosi guardava la vittima negli occhi, la faceva tremare, la incantava, tanto che nel momento in cui stava per morderla – e stavolta sì, i canini lunghi e affilai apparivano –, questa si dimostrava consenziente, quasi investita da una lasciva attrazione nei confronti del suo carnefice.
Dracula di Bram Stoker risvegliò la libidine repressa dalla morale vittoriana, la sessualità frustrata, attraverso l’esplosione di pulsioni inconsapevoli. Fu il catalizzatore del piacere.
L’eroe del romanzo, il giovane e piacente avvocato Jonathan Harker, inviato in Transilvania per curare l’acquisto di un immobile a Londra da parte del Conte, è l’esempio tangibile di come, ormai vittima degli effetti demoniaci del vampiro, si lascia irretire dalla voluttà. La scena della seduzione da parte delle tre vampire ai piedi del letto in cui Jonathan si è addormentato, esprime appieno l’attrazione erotica esercitata su di lui.
È la metafora di un’orgia che in Epoca Vittoriana bastava a bollare il libro come erotico. Il giovane vorrebbe essere morso, ma poiché è già fidanzato con Mina, si sente in colpa; eppure si convince che, trattandosi di un sogno, non è lui il responsabile così da potersi abbandonare al piacere.
Dal diario di Jonathan Harker, 16 maggio
Giacevo immobile, guardando di sotto le palpebre, in un tormento di deliziosa attesa. La ragazza bionda si inginocchiò e si chinò su di me, golosa. Aveva un qualcosa di deliberatamente voluttuoso, e insieme di repulsivo. Nell’inarcare il collo, si leccò le labbra come un animale e, alla luce della luna, vidi scintillare le labbra umide e scarlatte e la lingua rossa, che lambiva i denti bianchi e appuntiti.
Bram Stoker inventò un personaggio pensato per essere percepito come un incubo a occhi aperti. Enfatizzò l’eterna lotta tra Eros e Thanatos. Ma la sua creazione nel tempo ha sdoganato la smania del proibito, spianando la strada all’ispirazione di quanti hanno fatto del vampiro per antonomasia un mezzo per parlare di sessualità e terrore. Stoker non pensava di creare un simbolo tanto forte da essere in grado di superare le barriere del tempo e diventate immortale.
Romano, diplomato all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico e allievo di uno dei più grandi maestri, Andrea Camilleri, con cui ha avuto la fortuna di collaborare. Ha scritto tanti anni per il teatro, sua prima grande passione, ottenendo ottimi riscontri dalla critica nazionale. La commedia Fiesta è diventata un cult tra il 2001 e il 2002 ed è stata campione d’incassi in Italia, divertendo migliaia di persone. Da alcuni anni si cimenta nella scrittura della serie mystery di Achille Normanno.